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libro quarto dell’Eneide sarebbe più letto in Apollonio 1, se questi lo avesse cantato con la divinità dello stile virgiliano, come lo architettò due secoli prima con circostanze più passionate e più vere. Se non che, e la imitazione e le adulazioni sono più colpa dello stato di Roma che di que’ poeti, a’ quali vennero le lettere con le scienze, con la mollezza del vivere civile e con le discipline retoriche; e il loro ingegno fu da prima atterrito dalla tirannide, indi innaffiato dannosamente da’ benefici. E ben Virgilio, Pollione e gli altri grandi furono, se non propugnatori della patria, certamente ammansatori di quell’imperadore, non, come altri si crede, con la dolcezza delle sacre muse, ma perché, non avendo i delitti liberato dalla coscienza dell’infamia, comperava le lettere, quasi testimoni al tribunale de’ posteri; e quest’ambizione lo distraeva in appresso dalle pedate di Silla, ch’ei cominciò a calcare dopo la vittoria, sino a patteggiare la morte di Cicerone2, ad insultare al capo mozzato di Bruto3 ed a meritarsi sul tribunale il nome di carnefice. Ma

  1. Lib. iii, verso 284, e continua nel lib. iv.
  2. Plutarco, in Cicer.; Idem, in Anton.
  3. Svetonio, lib. ii, cap. 13.