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di un cortigiano, che lusinga il suo signore, confessandogli di essere fuggito dalla battaglia, estremo esperimento degli ultimi romani contro la fazione di Cesare1, e fa aiutatore un iddio del suo tradimento. È da badare che di tutte quasi le reliquie di Alceo, restate presso Eraclide Pontico ed Ateneo, si trova, non dirò l’imitazione, ma la traduzione letterale in Orazio2. Che s’ha dunque a pensare sì d’Alceo che degli altri lirici, de’ quali quantunque incontriamo rari vestigi, vivono i nomi tuttora e vivranno immortali come le muse? Quasi una intera ode si appropriò Catullo della sventurata Saffo3, imitata ad un tempo da Lucrezio 4; ed ho argomenti, non opportuni a questo discorso, per sospettare greco l’inno a Cibele5. Poco ha Virgilio di veramente pastorale nelle egloghe, che non sia di Teocrito; ed oltre i versi trapiantati da Omero e dagli altri 6, il celebre

  1. Lib. ii, ode vii, verso 14; lib. iii, ode iv, verso 27; e ne’ Sermoni.
  2. Paragona, fra gli altri, le prime due strofe dell’ode x, lib. i, e l’ode xv, verso 5 e sg., con i frammenti d’Alceo, stampati fra’ lirici greci.
  3. Catullo, carm. li; Longino, sezione x.
  4. Lib. iii, verso 153 e sg.
  5. Catullo, carm. lxii.
  6. Vedili tutti presso Macrobio.