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II. Leggeri conoscitori dell’uomo sono que’ retori, che, disapprovando la favola e le fantasie soprannaturali, vorrebbero istillare ne’ popoli la filosofia de’ costumi per mezzo di una poesia ragionatrice, la quale si può usurpare bensì nella satira, ove l’acre malignità, cara all’umano orecchio, quando specialmente è condita dal ridicolo, può talor dilettare1. Ma non diletterebbe un poema che proceda argomentando, e che non idoleggi le cose, ma le svolga e le narri. La favola degli antichi trae l’origine dalle cose fisiche e civili, che, idoleggiate con allegorie, formavano la teologia di quelle nazioni2; e nella teologia de’ popoli stanno sempre riposti i principi della politica e della morale: però nel corso del commento andrò estendendomi per provare con gli esempi questa sentenza, la quale dà lume a quel passo del filosofo:

  1. — Nisi quod pede certo
    differt sermoni, senno merus. Horat., lib. i, sat. iv, vers. 77.

    Verbo togae sequeris, iunctura catlidus acri
    ore teres modico, pallentes radere mores
    doctus, et ingenuo culpam defigere ludo.
    Persius sat. v, vers. 14.

  2. Per questo anche i dottori cristiani stimano probabili testimoni i poeti. Lactant., Div. instit., lib. i, cap. ii; lib. ii, cap. ii; Augustin., De consens. Evangel ., lib. i, cap. 24.