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trovate tutte le versioni, e taluna ne avessi letta, non oserei però giudicarne.

VII. Continuavano intanto i commentatori. Fra gli allievi di Gottlieb Heyne (chiaro e fortunato per lo suo Virgilio, recente editore di Pindaro, e recentissimo di Omero, non so se con pari fortuna), un certo Doering pubblicò nella sua diligente edizione di Catullo1 l’esposizione del poemetto di Callimaco: rare orme sue proprie lasciando, ricalca quelle del Volpi. Prometteva anche l’Arteaga2 nuove illustrazioni; ma non mi è avvenuto di vedere il suo libro, o non attenne la promessa. Un Turchi d’Arimino, entusiasta di Catullo, mostrò a me giovinetto, or son sett’anni, un suo lavoro d’incredibile pertinacia sui codici del suo poeta: morì, né posso sapere la fortuna delle sue carte. Forse più commentatori avrà avuto Callimaco, e, più che altrove, in Germania, dove que’ letterati si procacciano averi e tentano fama, facendo commercio de’ classici. E noi siam pure costretti, reputandoli poco, a ringraziameli: ché, senz’essi, né greco né latino scrittore correrebbe più per

  1. Lipsiae, apud Gotti. Hilscher, 1788.
  2. In praefatione ad praeclarissimam editionem Bodonianam trium poetarum.