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si conosceva sino da remote età, perch’era lagrima naturale e semplicemente raccolto da una pianta. Eneid. lib. xiii, v. 97.
— Da sternere corpus,
Loricamque manti valida lacerare revolsam
Semiviri Phrygis, et foedare in pulvere crines
Vibratos calido ferro, myrrhaque madentes.
Laonde io credo che il μύρον d’Archiloco, voce generale che spiega una materia liquida ed odorosa, derivi dalle voci speciali μύῤῥα, mirra, preziosa e naturale gomma di una pianta. Così dalla voce speciale vir vennero le solenni vis, virtus; fortis, fors, fortuita: ἀνήρ, uomo; ἀνδρεία, forza; ἄναξ, re. E qui notino i politici che forza, virtù e fortuna hanno anche in gramatica la stessa radice. — Quindi il nome della mirra, cosa preziosa e fragrante, s’applicò alle materie che avevano le medesime qualità. Non era dunque unguento quello di cui si ungevano le compagne di Elena in Teocrito, e molto meno quello di cui Venere imbalsamò il corpo di Ettore (Iliad. xxiii) per farlo incorruttibile, ma era oglio semplice di rosa immaginato al mio parere dal poeta per significare cosa divina e degna degli immortali, come l’ambrosia. Che se presso gli orientali e nei libri più antichi si legge: Aaron unguentum capiti affundere solitus, quod in barba descenderet (Esodo), non perciò prova che anche i Greci dovessero sin d’allora usarne. Ma che la mirra non fosse fra gli unguenti anche presso gli orientali, e che si distinguesse il culto delle vergini da quello delle spose, si vede chiaramente da quel passo nel libro di Ester (cap. ii, 12): Cum venisset tempus singularum per ordinem puellarum, ut intrarent ad regem, expletis omnibus quae ad cultum muliebrem pertinebant, mensis duodecimus vertebatur; ita dumtaxat, ut sex mensibus oleo