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tragedia, e della Eroide di Elisa ad Abelardo, unica poesia elegiaca da contrapporre con fiducia agli stranieri e agli antichi. Ma più nota di questa è la traduzione di un bifolco arcade, inserita nella malaugurata collezione de’ poeti latini1. Que’ preti che posero rimpetto a Catullo questo petulante e scipito verseggiatore ben mostrano a che stato era la sì vantata letteratura italiana di quella etá. Né più senno mostrò il Bandini, inserendo questa versione sotto la greca che fece Anton Maria Salvini2, il quale era giá stato prevenuto nell’audace fatica dallo Scaligero3 che, a mio parere, serba più greca andatura. Eminente, fra quelli che tentarono traduzioni in greco, reputo Eugenio Bulgari, corcirense, oggi metropolita in Pietroburgo, che dotò il bello virgiliano della grandezza di Omero. Ma se pur v’hanno volgarizzamenti della chioma di Berenice oltre a’ citati, non so. Degli stranieri non posso dire: sono sì parco cultore delle loro lingue, che, se pure avessi

  1. Milano, Corpus Latin. Poet., 1740.
  2. Callimachi Cyrenaei hymni, ab Ant. Mar. Salvinio, etruscis versibus redditi, Florentiae, typis Mouckianis, 1743.
  3. Poematia quaedam Cat. Tib. Prop. selecta, graece reddita per Ioseph. Scaligerum 1615.