dal furore divino, di cui è inventrice questa Venere celeste ne vennero (Platone nel Fedro) Apollo, ossia il Vaticinio; Bacco, ossia il Mistero, le Muse o la Poesia, l’Amore, le Veneri, le Grazie, e poi si torna all’idea solenne della Notte e dell’Amore universale di cui parla Aristofane (Uccelli), e parmi per farsene beffe. Sino al tempo degli imperadori romani si cercavano le profezie di questa Venere primitiva, madre del furore: vaticinationes quae de tempio caelestis emergunt (Capitol. in Pertinace); la quale, se bene ricordo ciò ch’io lessi in Xifilino, che ora non ho per le mani, fu data in isposa da Eliogabalo a quell’Alogabalo suo Nume. Così questa Venere di casta e celeste divenne meretrice e volgare, poiché fu sposa e sorella di quanti regi vollero essere Numi, madre di quanti Numi bisognavano a’ sacerdoti, protettrice di quante passioni erano care a’ popoli i quali vogliono avere sempre società col cielo, quantunque per lunga esperienza sappiano che il cielo non vuole alcuna società co’ mortali. Aggiungi che i poeti-teologi e gli storici-filosofi, intendendo la Natura sotto questo nome di Venere (Lucr. lib. i, sul principio), lo applicavano a tutte le cagioni e gli effetti della procreazione. Anche del culto di questa dea abbiamo memorie antichissime, e le egizie più rimote ci tramandano la profanazione commessa dagli Sciti del tempio di Venere celeste in Ascalona, a’ tempi del re Psammetico (Erodot. lib. i, sez. 105). La Venere volgare ha più recenti adorazioni, e primo a fondarne culto per gli ateniesi fu Teseo: però Pausania nel viaggio di Attica racconta: A’ tempi miei non v’erano più ornamenti antichi della Venere volgare: que’ che la troppa età risparmiò, pareano d’artefici non oscuri. Ogni nazione ed ogni principe vestivano gli Dei secondo i proprj istituti. Adoravano i Lacedemoni una Venere armata (Pausan in Laconicis;