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almeno dovuto scorrere tutto il libro. Ed il pessimo di costoro toccò a quel grande,

Poeta e duca di color che sanno1.

V. Non molto dopo pubblicando Giovannantonio Volpi, ancor giovinetto, le sue postille sopra i tre poeti2 osservò anche il nostro poemetto, lasciando a divedere ch’ella non era soma dalle sue spalle. Di che vergognando, stampò ventisette anni dopo quel suo commentario copiosissimo3, di cui tanto concetto corre per l’Italia, e tanto ne deve pur correre: poiché lo studio de’ classici è confinato ne’ seminarj, e i libri, anziché alla dottrina, servono alla pompa delle biblioteche. Non ha nuova lezione il Volpi, né arcana dottrina che non sia tutta del Vossio; né le virtù sole, ma i vizi adotta del precettore. Lussureggia la mole del suo commento di citazioni importune, che prendono occasione non dalle viscere del soggetto, ma da nude parole. Più pregio e men grido ha la sua esposizione alla satira x di Giovenale.

  1. Lucretius, ad usum Delphini, interprete Michael Fayo Societ. Ies.
  2. Patav., ap. Iuseph Corona, 1710.
  3. Patav., ap. Iuseph Cominum, 1737.