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ventre in su, restaurato con cinque pezzi di pietra. Sta fra molti altri, ed è verso settentrione. La base è lunga trenta piedi, larga diciassette. Dalla pianta al ginocchio è lunga piedi diciannove. Da’ lati delle gambe ed in mezzo ha tre statue coronate (Observations on Egypte, p. 101): nel quale autore puoi vedere tutta la descrizione e la immagine delineata. I contrassegni di questa statua concordano con quelli tramandati da Filostrato, da Pausania e da Strabone. Le iscrizioni sono tutte incise nelle cosce e nel marmo antico; il restauro è posteriore agli autori citati. Però gli antiquari la credono fondatamente quella stessa vocale, di cui tanto scrissero gli autori de’ primi secoli dell’era cristiana.
Se dalla noia di tante investigazioni si può ricavare alcuna verità, credo probabili le seguenti congetture: 1° che Amenofi, Osimande e Mennone sieno una stessa persona; il primo nome Egizio, il secondo nome Etiope, il terzo nome Greco; 2° che, quando gli Etiopi nel corso della possanza e decadenza delle nazioni tennero, come appare dal passo dianzi citato di Plinio, tutte le province orientali, il loro eroe sia stato deificato; 3° che per l’antichità l’eroe sia divenuto favoloso, e che le nazioni per arroganza se lo sieno ascritto; il che avvenne di Ercole, di Giove e di molti altri eroi e semidei; tanto più che l’Etiopia sotto il regno di Mennone governava la Siria e l’altro Oriente; 4° che la statua parlante sia una santa fraude, pari a quelle di cui l’umana razza si compiacque sempre, si compiace e si compiacerà, mutati i nomi; 5° che al tempo de’ Cesari, essendo l’Egitto provincia romana, gli Egizj destituti di fasti, di leggi e di possanza, si sieno giovati per estremo aiuto della preponderanza che poteano sperare dalla credulità del mondo verso quel nume del loro paese.