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che la F non è se non segno gramaticale del genere mascolino. Questa statua fu ed è oggi dentro l’Egitto superiore, nella Tebaide (Tacito Ann. ii, 61), la quale è dimostrata dal Jablonscki ( de Memnone, syntagma ii, cap. 2) essere stata dagli antichi greci chiamata Etiopia. E noi pure, nella nota ai vv. 51-2, abbiam notata l’ignoranza de’ tempi iliaci intorno agli Etiopi. Questo antichissimo Mennone egizio trovò appunto nell’Egitto le lettere dell’alfabeto, quindici anni innanzi Foroneo re della Grecia (Plinio, lib. vii, cap. 56). E, sebbene dell’antichità di Mennone o d’Amenofì sievi assai discordanza fra gli antichi (Gioseffo contro Apion. lib. i, 26). la lite si scioglie, poiché i vetusti signori egizi si chiamavano con lo stesso nome del che ne son testimonio le genealogie delle antiche e moderne famiglie regali. E di diversi Amenofi eredi del trono parla Manetone presso Gioseffo (lib. i, 15, e loc. cit.); e tre ne segna, se ben mi ricordo, la cronologia Eusebiana. Dicevasi anche Ismande (Strabone, lib. xv); ed è forse quell’Osimande stesso, re d’altissime imprese narrate da Diodoro siculo (lib. i). Sotto la sua statua era scritto:
Βασιλεύς, βασιλέων Ὀσυμανδύας εἰμί.
Εἰ δέ τις βούλεται πηλίκος εἰμὶ, καὶ ποῦ κεῖμαι,
Νικάτω τὶ τῶν ἐμῶν ἔργον.
Re dei regi Osimande sono. Se alcuno saper vuole quanto io sia, e dove io giaccia, vinca alcuna delle mie gesta. — Vengo ora alla statua. Gli autori che ne parlano, per quanto io ho incontrato leggendo gli antichi, sono: Pausania (in Atticis), Filostrato (luoghi cit. e altrove), Luciano con l’usata ironia (in Philopseude), Giovenale (sat. xv, v. 5), Giovanni Tzetze ( Chiliad ., iv, 64), Callistrato nel libro De statuis, Tacito (Ann., ii, 61), Strabone (lib. xvii), e Dionisio il geografo nei versi 249-250, che, tradotti letteralmente, suonano: