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a quella legge universale della natura che ne’ perpetui cangiamenti delle cose nulla scemi e nulla cresca. Così l’istmo dell’Athos, essendo fra due golfi inquieti sempre per li venti da terra, e specialmente lo Strimonio per quei della Tracia, detta da’ poeti sede di borea (Orazio, Epod. xiii, v. 4, ed altri), potea facilmente ricongiungersi, stante il perenne e violento ondeggiare che sforza il mare a ritirarsi; e molto più in un canale non più lungo di quattro miglia, largo appena per lo remeggio di due triremi e dieci piedi profondo. E forse la necessità di commerciare più agevolmente col monte, che fu sempre ed è tuttora abitato, strinse le città ed i borghi vicini all’istmo ad aiutare la natura con l’arte.

A queste opposizioni degl’interpreti e de’ viaggiatori prosciolte, s’aggiungono due altre: una di Ubbone Emio (De Graecia veteri, lib. v), riferendo Strabone ove descrive l’Athos di tanta altezza, che dalle sue cime si vede il sole assai prima che sorga: però il moderno geografo taccia di favoleggiatore l’antico. Ma l’orizzonte solare cresce sempre in proporzione quadrata dell’altezza da cui si guarda, perché, nel volgersi della terra, le alture incontrano prime i raggi del sole: perciò sulla sera vediamo ultimi ad oscurarsi i vertici de’ monti. Tanto più dunque può ciò avverarsi nell’Athos, il quale siede sull’Egeo, ed il piano orizzontale, che più ampiamente percorra, è il mare dall’oriente. I poeti lo chiamano figliuolo di Nettuno e di Rodope, perché è tutto cinto dal mare, ed il nome Rodope è composto da ῥόδον rosa, attributo dell’aurora, e da ὄπτομαι, ὄψομαι vedere, appunto perché l’aurora appare più presto in quei monti che nelle vicine pianure. L’altra opposizione è mossa dal Sonini. Viaggiò costui per ordine del re Luigi xvi, e scrisse il suo itinerario. Ma, con quell’enfasi tutta propria