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ventum et acinacem (Luciano in Toxari). Giuramento ch’io trovo pieno di sapienza; e di cui parlerò, poiché a quel luogo i cementatori non parlano. Gli Sciti comprendevano in quel giuramento le leggi, la religione e la forza dominatrice di tutto quello che vive. La prima parte sta nel Solium regis, ed è da osservare quanto accortamente giurassero più per la dignità che per la persona. Il Vento era dagli antichi preso per l’anima; anzi anime sono i venti presso Orazio (lib. iv, od. xiii, 2); voce derivante dalla greca ἄνεμος vento: così πνεῦμα, spiritus, e mille altri siffatti: anzi la voce ψυχή, con che più comunemente da’ greci si chiama l’anima, suona refrigeratio. Cassiodoro (Expositio in psalm. ciii, v. 3) interpreta i venti del poeta ebreo essere le anime de’ giusti. Or poiché per la storia di tutte le religioni sappiamo che la speranza di un’altra vita è riposta nell’anima la quale si crede superstite alla morte del corpo, lo Scita, dopo la patria e le leggi, giurava per la speranza o pel timore del Tartaro. La terza parte del giuramento è riposta nella forza della propria spada, a cui gli uomini veri ricorrono, quando veggonsi traditi dai principi ed abbandonati dal cielo.
Tornando al giuramento della chioma, e considerandolo poeticamente, per chi con più passione poteva ella giurare che per lo capo della sua donna, ove pur sospirava di ritornarsi? I giuramenti fatti sobriamente e con pietà fanno l’orazione sublime, perché, intermettendo le cose divine alle umane, aprono un sentiero al meraviglioso; e facendone temere la vendetta celeste contro lo spergiuro, ci tramandano i concetti nel cuore pieni di passione e di voluttuoso ribrezzo, quando specialmente si giura per cose care e perdute, le quali ridestano le dolci e dolorose rimembranze del passato. Perciò Longino