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È anche detta Lucifera, portatrice di luce; e nelle medaglie si rappresenta con una face. Questo nome fu dato anche al pianeta di Venere; quindi e Venere e Diana sono chiamate celesti. Vedi Considerazione nostra x.

Dagli infiniti attributi derivarono gl’innumerabili nomi, Πολυωνυμίν; e Catullo (carme xxxiv, v. 21): Sis quocumque placet tibi Sancta nomine. Per la quale moltiplicazione di attributi e progressione di culti, Diana venne finalmente adorata come simbolo della natura (Visconti nel Museo Pio-Clementino ), ed in un monumento del tesoro Gruteriano (xli, 4) è detta mater. Anzi Diana Efesia (Bellorio, lucerne antiche, parte ii, Museo Barberino) si rappresenta con grandi mammelle quasi nutrice di tutti gli animali; spiegazione che a questo simbolo delle mamme danno gli espositori di Paolo apostolo (Epist. ad Ephesios). S’è notato nella nota al pag. 136 che Diana è chiamata ὌΠΙΣ, Cura Divina, e gli inni a Diana diceansi per questo Ούπιτγοι<ref>Così l’ediz. del 1803, curata dal F.; gli edd. fior, corressero, non bene, in Ὄπύμνοι e si legge nelle iscrizioni (Tes. Grut ., xli, 8) Diana Opifera. Ma questi nomi o non sono primitivi, o non sono suoi proprj ed esclusivi, come il nome di cui diremo poi.

Tornando a’ primi riti della dea, tutti sono barbari e non dissimili a’ suoi nomi. Archi, belve, uccisioni, lire, tripudj, celebri ed acuti ululati (inno a Venere, attribuito ad Omero, vers. 19): ed a’ tempi de’ Romani restava ancora il rito degli ululati (Virg. eglog. iii, v. 26; e Servio, ivi); uso disceso sino da’ tempi iliaci: Eneid., iv, 609:

Nocturnisque Hecate triviis ululata per urbes.


Origine di sì fatte cerimonie ne’ trivi parmi l’antico uso e più naturale di piantare il simolacro de’ Numi su le strade a cielo scoperto, e di coprirlo con rami d’alberi; onde il vecchio poeta romano: Fascetiti’ tempia Dianae (Lucilio, frammenti, lib. iii, 13). Al che è posteriore