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che concorra tutto il processo, ma che, nulla ostante, lasciano nell’animo e nel giudizio secreto del tribunale una schiera di dubbi per cui i giudici graverebbero la propria coscienza e macchierebbero la propria fama, se li punissero senza un prudentissimo esame. A questa seconda specie appartieni il caso che dovrete oggi giudicare. Perocché, ad onta dei moltiplici testimoni e delle deposizioni contro l’accusato, egli è certo che, separando la cosa dalle persone, da tutto il processo non emergono che dubbi; che le testimonianze sono inattendibili ed illegali; che le armi deposte sul vostro tribunale, quasi parte essenziale del corpo del delitto, giovano piú alla difesa che all’accusa; che finalmente le stesse asserzioni contro il prevenuto sono incoerenti fra di loro, e che parte di esse si può agevolmente attribuire all’interesse, parte all’animosità. S’io dunque mostrerò al vostro augusto consesso questa schiera di dubbi col processo alla mano, s’io scolperò il sargente Armani dalla taccia di assassinio, non dovrà egli aspettarsi dalla vostra giustizia una sentenza diversa assai da quella propostavi dal capitano relatore? Egli fa le parti di accusatore; voi quelle di giudici. Egli pronunzia la morte: ma, quando si parla di morte, conviene che le prove, che la promovono, siano limpide, ferme incontestabili, e che permettano al giudice di alzarsi dal tribunale libero da tutti i rimorsi.

Giovanni Armani, sargente maggiore, è accusato assassino del suo capitano. L’accusa è fondata: 1° sulle ferite e su le armi, che sono il corpo del delitto; 2° su la deposizione del capitano Gerlini; 3° su vari testimoni; 4° sulla confessione del reo.

E, per incominciare da’ testimoni, sono tutti inattendibili e di verun peso. Due soli sono oculari nel tempo del fatto: il fuciliere Bellini ed il granatiere Dim; ma non hanno né legale né morale preponderanza nel giudizio.

Prima. — Il fuciliere è della compagnia del capitano Gerlini: alla condizione di subordinato aggiunge quella di ordinanza domestica del capitano, e quindi appassionato a scolpare ed a vendicare il padrone; e dove non l’avesse mosso l’amore,