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8 vii - viaggio sentimentale di yorick


III

IL FRATE

CALAIS

Com’io finiva la parola, un povero frate di san Francesco entrò in camera a questuare pel suo convento. Nessuno vuol essere virtuoso a beneplacito delle contingenze; oppure uno è generoso come un altro è potente: sgd non, quoad hanc — e sia che può — da che non si può logicamente discorrere sul flusso e riflusso de’ nostri umori, il quale, a quanto io so, obbedirà alle medesime cause influenti nelle maree; ipotesi che ci tornerebbe spesso a men biasimo: e, per dir di me solo, son certo che in piú incontri mi loderei assaissimo del mio prossimo, se dicesse che io me la intendo con la luna, e mi governo con essa (e non avrei colpa in ciò né vergogna), anziché col mio proprio atto e consenso (e ogni colpa e vergogna sarebbe mia).

Ma sia che può. Dal punto che io posai l’occhio sul frate, io aveva prestabilito di non dargli un unico soldo: e consentaneamente mi riposi la borsa dentro al taschino, lo abbottonai, mi misi alquanto in sussiego, e me gli feci incontro con gravità; e temo d’averlo guardato in guisa da non dargli molta fiducia. L’immagine di lui mi torna or agli occhi, e vedo ch’ei meritava ben altre accoglienze.

Il frate, com’io giudicai dal calvo della sua tonsura e da’ pochi crini bianchi, che soli gli rimanevano diradati intorno alle tempie, poteva avere da settantanni. Se non che le sue pupille spiravano di un cotal fuoco, rattemprato, a quanto pareva, piú dalla gentilezza che dall’età, che tu gliene avresti dato appena sessanta. Il vero è forse fra’ due. Certo egli n’aveva sessantacinque; e tutto insieme il suo aspetto, quantunque paresse che qualche cosa vi avesse solcate le rughe anzi tempo, torna bene col conto.