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332 vi - commento alla «chioma di berenice»


Il codice cartaceo, sebbene scorretto né anteriore al xv secolo, è degno di essere attentamente esplorato. Il Vossio, nel suo comento a Catullo, cita spesso un codice ch’ei chiama «eximiae pulchritudinis», cognominandolo or «italiano», or «milanese». Tutte le lezioni vossiane della Chioma berenicea concordano con parecchie del codice A, e con tutte quasi di questo cartaceo (vedi nostre varianti e note, passim). Un’altra pruova che il Vossio parli di uno di questi due codici si è ch’ei viaggiò in Italia verso l’anno 1650 * (nacque il Vossio a Leide l’anno 1618, morí sul principio del 1689);* né la biblioteca Braidense era ancora fondata, bensí l’Ambrosiana aperta sin dal 1609. E, sebbene sieno stati negli ultimi anni molti codici δορύκτητα, si sa di certo che niuno de’ catulliani è stato carpito. Vero è che il Vossio, nel corso del suo comento, cita alcuna lezione del suo codice favorito, a cui l’ambrosiano non risponde: ma chi credesse di buona fede un erudito, ove si tratti di «varie lezioni» e di dottissime «emendazioni», gli farebbe piú torto che onore. I codici, citati a dozzine e sí vantati dagli editori ed interpreti de’ classici, non sono perduti. Tutti, o la piú parte, si possono vedere nelle biblioteche, specialmente d’Italia e d’Olanda. Chi li svolgesse con critico acume, s’accorgerebbe che la maggior parte o sono triste copie d’amanuensi venali ed ignoranti, o simulazioni di letterati per arricchire le loro biblioteche e sostenere le proprie opinioni; e queste dei letterati posteriori alla stampa. *L’Heyne, esaminati i codici tibulliani tutti, li trovò posteriori al secolo xiv (Praefatio ad Tibul., edit. 1, Lipsiae, 1755).* Chi non sa le gare, i rancori, le villanie degli eruditi nel secolo xv e xvi? Marc’Antonio Mureto, il piú gentile di tutti, lasciò anch’egli due esempi di mala fede; e Gioselfo Scaligero, ὁ πάνυ, due esempi di ignoranza. L’Inno a Cibele, che si trova nel carme xlii di Catullo, è in metro galliambo, raro fra’ latini. Lo imitò il Mureto. Piponzio Valente (nel ii delle Georgiche virgiliane, v. 392) citò come antichi alcuni galliambi foggiati dal Mureto; nel quale errore cadde lo Scaligero. Donde vennero contumelie erudite ed eruditi e scabrosissimi nulla. Pendendo tanta lite, lo Scaligero stabili nel carme xvii, v. 6, di Catullo la seguente lezione:

In quo vel salisubsuli sacra suscipiunto,

fidando nel verso di Pacuvio:

Pro imperio sic salisubsulus nostra excubet.