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328 vi - commento alla «chioma di berenice»


CONSIDERAZIONE DECIMATERZA

mirra


Versi 77-78.

Quicum ego, dum virgo quondam fuit, omnibus expers
unguentis, myrrhae millia multa bibi.

Erano propriamente «unguenti» tutti quelli artificiosamente composti di vari odori; onde Varrone (De l. l., lib. v) e Plinio (libro xiii, cap. 1) distinguono la mirra dagli unguenti, perché distillata da una sola pianta. Plauto, Mastell.:

          Vin’unguenta? Quid opus est?
     cum stacta accumbo.

Lo stacte era quintessenza di mirra (Bacio, De conviviis antiq., lib. ni, 12). Poteva quindi Berenice, vergine regale, usare dell’olio schietto di mirra, astenendosi d’unguenti: «Pallade non ama unguenti né alabastri; recatele oglio, o lavatrici» (Callim., Lavacri di Pallade, citati nella nota ai vv. 77-S8). Però le fanciulle, le quali erano sotto la tutela di Diana e di Minerva, non dovevano servire a Venere, che non potè domare col lusso e con gli scherzi amorosi le due vergini dive (Inno a Venere attribuito ad Omero, v. 7 e sg.)

Le unzioni degli eroi di Omero sono parimenti di oglio, e non di unguenti. Plinio nelle prime linee del lib. xiii: «Quis primus invenerit [unguenta] non traditur: Iliacis temporibus non erant, nec thure supplicabatur». So che tutti gli antiquari, e fra gli altri Pietro Servio, nel suo trattato De odoribus, contrasta questo passo di Plinio: ma so altresí che la voce μύρον, «unguento», non si trova negli antichissimi greci, e primo ad usarne fu Archiloco, che visse verso la x olimpiade: e so che Omero non ne parla pur una volta, né Virgilio in tutta l’Eneide, ove tratta de’ tempi iliaci. Parla bensí della mirra, come quella che si conosceva sino da remote etá, perch’era lagrima naturale e semplicemente raccolto da una pianta. Eneide, lib. xiii, v. 97:

 . . . Da sternere corpus,
loricamque manti valida lacerare revolsam
semiviri Phrygis, et foedare in pulvere crines
vibratos calido ferro, myrrhaque madentes.