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considerazione decima 315

εἶναι μητέρα ὅλων, πάσης μαντείας, καὶ κρογνώσεος εὑρέτην. Ed eravi un oracolo della celeste dea in Cartagine, che Apuleio (Fior., iv) chiama «coelestem illam Afrorum daemonem»: la quale non è insomma, per tradurre le parole di Artemidoro, se non la madre di tutte le cose, come s’è giá notato (Consideraz. terza) di Diana natura, di Diana madre. Ed i critici moderni (Conti, Sogno nel globo di Venere, comento, p. 15) pretendono, con l’autoritá della Bibbia, che la Venere celeste non sia che l’Astarte, e l’Astarte la luna; ed eccoci di nuovo all’antichitá ed alla universale divinitá di Diana * (vedi Considerazione terza sopra Diana Trivia) *. Quindi dal furore divino, di cui è inventrice questa Venere celeste, ne vennero (Platone nel Fedro ) Apollo, ossia il Vaticinio; Bacco, ossia il Mistero, le Muse o la Poesia, l’Amore, le Veneri, le Grazie, e poi si torna all’idea solenne della Notte e dell’Amore universale, di cui parla Aristofane (Uccelli), e parmi per farsene beffe.

               * Non era ancor la Terra ampia frugifera,
               ma il Buio e il Caos che a rimembrar fa pavido;
               né splendea l’alta region stellifera,
               quando d’Èrebo in sen, giá di vite avido,
               la prolifica notte atro-pennifera
               un uovo generò, di vento gravido,
               e, covato ch’ei fu, picchiando all’uscio,
               Amore, il divo Amore usci del guscio.
                Aristofane, loc. cit.*

Sino al tempo degli imperadori romani si cercavano le profezie di questa Venere primitiva, madre del Furore: «Vaticinationes quae de tempio coelestis emergunt» (Capitol., in Pertinace); la quale, se bene ricordo ciò ch’io lessi in Xifilino, che ora non ho per le mani, fu data in isposa da Eliogabalo a quell’Alogabalo, suo nume. Cosí questa Venere, di casta e celeste, divenne meretrice e volgare, poiché fu sposa e sorella di quanti regi vollero essere numi, madre di quanti numi bisognavano a’ sacerdoti, protettrice di quante passioni erano care a’ popoli, i quali vogliono avere sempre societá col cielo, quantunque per lunga esperienza sappiano che il cielo non vuole alcuna societá co’ mortali. Aggiungi che i poeti teologi e gli storici-filosofi, intendendo la Natura sotto questo nome di Venere (Lucr., lib. i, sul principio), lo applicavano a tutte le cagioni e gli effetti della procreazione. Anche del culto di questa dea abbiamo memorie antichissime, e le egizie piú rimote