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284 vi - commento alla «chioma di berenice»


Virg., Eneid., i, v. 20) il culto che ambedue godeano in Samo. Da questa idea speciale si risali alla solenne, poiché, venendo a’ latini dal Ζεύς de’ greci la voce «Deus», e quindi «Diespiter», «Giove», la voce «Diana» suona divinitá universale ed eterna.

Onde questa confusione di nomi deve essere distinta dalla filosofica osservazione della storia. Idee metafisiche sono il Caos, l’Amore, la dea Notte, il dio Cielo, ecc., come infatti si leggono in Esiodo, in Ovidio e ne’ poeti teologi dell’antichitá: da queste deitá universali nasce Saturno (Κρόνος, il Tempo), Giove, Latona, Febo, Diana, ecc. Volgasi l’ordine; e si troverá Diana, Giove, Saturno, ecc., sino alla idea universale e la filosofica del Caos: il quale ordine ci condurrá alla progressione della storia umana: cacciatori, principi-sacerdoti, sacerdoti, apoteosi, poeti-teologi, filosofi. Onde non è meraviglia che il dio cacciatore, quantunque dotato d’infiniti attributi, tutti provenienti dalle prime idee del genere umano, sia poi divenuto ultimo nella teogonia del cielo. Ed ora è Diana nutrice di tutte le cose, ora è appena figliuola di Giove, cultrice delle montagne. Ma drittamente videro gli antichi greci, i quali col nome promiscuo di θεός, dio, chiamarono gli dèi e le dèe; il che s’è notato con esempi ai vv. 7-10. Anzi Servio (Eneid., ii, 632) cita un sitnolacro di Venere barbata, col corpo e veste femminea, con natura e scettro virile. * Cosa notata quasi con le stesse parole anche dall’amico suo Macrobio nel terzo de’ Saturnali (cap. 8), ove cita l’autoritá di Aristofane, ed il seguente passo di Levino: «Venerem igitur almum adorans, sive foemina, sive mas est, ita uti alma noctiluca est» *.

L’attributo di perpetua virginitá, tutto proprio di Diana, discende dagli antichissimi matrimoni dello stato selvaggio e geloso. S’è detto in nota ai vv. 72-6 che «vergine» suona «sposa giovine». Cosí «casta» suona «fedele»: onde Catullo nel nostro poemetto (v. 83): «Casto petitis quae iura cubili»; e nell’epistola ad Ortalo da noi tradotta (v. 20) chiama «casto» il grembo della donzella che medita furti amorosi. Cosí dunque s’hanno ad intendere gli attributi di castitá e di virginitá cantati alla diva. Nell’Inno a Venere, attribuito ad Omero (v. 16), cantasi che l’amorosa dea non domò Diana col riso e con gli scherzi; e quel passo va interpretato col costume de’ matrimoni primitivi. * «On a fait Diane ennemie de l’amour, et l’allégorie est très-juste; les tangneurs de l’amour ne naisseni que dans un doux repos; un violent exercice étouffe les sentimens tendres». J.-J. Rousseau, Èmile, lib. vi, verso la fine*.