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240 vi - commento alla «chioma di berenice»


IX. Interpretando un antico poeta, fabbro di arte bella, per cui usa di modi figurati e di peregrine parole, che tocca fatti di principi e di nazioni, onde ritorcerli alla istruzione degli uomini, il commento deve essere critico, per mostrare la ragione poetica; filologico, per dilucidare il genio della lingua e le origini delle voci solenni; istorico, per illuminare i tempi ne’ quali scrisse l’autore ed i fatti da lui cantati; filosofico, acciocché dalle origini delle voci solenni e da’ monumenti della storia tragga quelle veritá universali e perpetue, rivolte all’utilitá dell’animo, alla quale mira la poesia. Chi piú congiunge queste doti, quegli, a mio parere, consegue l’essenza d’interprete, ch’io definisco: «far intendere la lettera e lo spirito dell’autore». Perciò, primo de’ commentatori a’ poeti latini reputo l’inglese Thomas Creechnota, degnamente seguace anche sotterranota del suo poeta, e per me onorato e caro come fosse vivo e presente. Ma, esaminando con queste norme gli espositori della Chioma di Berenice, 1 2

  1. Lucretius, cum interpretatione et notis Thomae Creech, collegii omnium animarum socii, Oxonii, 1695.
  2. * Taluno di quegli uomini letterati che scriveano il Diario italiano, nel dicembre del 1803, mi appose «la mia feroce ammirazione pel suicidio»; e trasse l’accusa forse da questo passo e dall’altro, ov’io lodo Pier delle Vigne. Ma, se io per natura e per destino sono astretto a reputar veramente libero e sapiente chi sa morire a tempo, a che non piuttosto compiangermi, s’io deliro in questo error malinconico? a che non convincermi prima di rinfacciarmi? Letterati godenti! né so né posso vivere con voi né per voi: e piú m’insegnano l’ultime ore del suicida che tutta la vostra cortigiana filosofia. E da forte il sostenere la sciagura, ma l’accoglierla spensieratamente è debolezza e follia. Sfugge l’uomo alla tirannia della onnipotente fortuna, se sa come e quando morire. E, poiché i lieti letterati de’ miei giorni non mel possono insegnare, io vivo con gli uomini morti con generosa laude antica, e gl’interrogo, e mi rispondono.

    Γέρων γέροντι γλῶσσαν ἡδίστην ἔχει:
    παῖς παιδί, καὶ γυναικὶ πρόσφορον γυνή·
    νοσῶν τ' ἀνὴρ νοσῶντι: καὶ δυσπραξίᾳ
    ληφθεὶς ἐπῳδός ἐστί τῳ πειρωμένῳ.

    Al vecchio la lingua senile è giocondissima:
    ben si sta il fanciullo col fanciullo, la femmina con la femmina,
    e il malato col malato: e l’uomo rotto dai guai
    è conforto di chi è sbattuto dalla sciagura.

    Menandeo. *