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212 v - scritti e frammenti vari


Bagnara, feudo di sua famiglia. Rinforzato dal preside Winspeare con altri armati, scomunicò con autoritá pontifícia chi non si armava per la religione. Una croce bianca al cappello fu il segno; acquistar la vita in paradiso chi per tal causa la perdesse. Scrisse a’ vescovi e l’ubbidirono, e i preti armati di croce e d’archibugio. Perdonò a sbanditi e a tutti i rei, purché si armassero. I capi masnadieri erano generali. Rinaldi primo, con due cannoni tolti al vecchio castello di Scalea, accrescea l’esercito. Galeotti, carcerati di Napoli lá rifuggitisi, ferro e fuoco nelle case dei ricchi, chiamati «giacobini». Primo era Pan di grano, masnadiere, terror delle Calabrie, che avea per trofei anche le spoglie di piú regi procacci. Poi Panzanera, reo di quattordici omicidii, capitano di masnada. Sciarpa, caporale di sbirri di Salerno, capitanò tutti i carcerati, e sollevò la Basilicata. Ruffo raccolse tutto alla volta di Monteleone; passando, saccheggiò, imprigionò i piú ricchi, vendendo la vita a proporzione delle sostanze. Molti patriotti, per fuggire il martirio, davano danaro e s’incorporavano nelle truppe del cardinale. I meno sicuri, disperato ogni scampo, si ammazzavano, e fra questi monsignor Serra, vescovo di Potenza, letterato. Sconfitti i pochi patriotti di Monteleone e di Cotrone, lasciò Ruffo le cittá a discrezione dell’esercito; delle cui crudeltá atterriti, quei di Catanzaro chiuser le porte e muniron d’artiglieria le mura.

Ruffo senza cannoni propose condizioni. Furono accettate: non entrare le truppe nella cittá, riubbidire il re, pagar contribuzioni pel proseguimento della guerra, amnistia. Si osservò per allora il trattato; e, formatavi una guardia nazionale de’ partigiani del re, marciò verso Cosenza, metropoli della Citeriore. Il re lo dichiarò vicario del regno di Napoli: gli spedi Micheroox, giá suo ambasciatore in Cisalpina, e il principe di Imperano col suo reggimento di cavalleria. E a questi principi s’affidarono i realisti ritirati in Sicilia e si unirono. I cosentini patriotti escon in campo aperto per dar battaglia. De Chiara generale li tradisce, e il partito reale della cittá prende le armi per toglier loro la ritirata. Ma i patriotti si difendono da per tutto con sommo coraggio; rientrano a viva forza in Cosenza,