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delle ultime lettere di iacopo ortis 151


cagioni, che cominciavano a scemarla, la andavano poscia accrescendo; e vi si accostumò in guisa, ch’ei ne parlava come d’un «dolcissimo desiderio»1. A questa abitudine s’aggiungeva il maggior vigore di facoltá intellettuali, e l’essere riamato da Teresa, e la compiacenza di soffrire per non macchiarle l’innocenza e la fama, e la certezza di poter trovare in sé tanto coraggio da eludere l’ingiustizia degli uomini, fuggendo sotterra: ecco le cause che lo preservarono spesso dall’estremitá di Werther, in cui anche l’Ortis sarebbe precipitato assai prima. Quando, a mezzo il volume, i lettori veggono ch’ei si divide da Teresa per lasciarla ad un altro, sentono ch’ei sostiene il terribile sacrificio, perché lo faceva con volontaria generositá. Ma la fiamma, ch’ei voleva comprimere, lo divora: delira come Werther; i terrori del futuro per la donna ch’egli ama, gliela fanno vedere «come vittima sgozzata all’altare» e gli fanno udire «il suo ultimo gemito»; il rimorso dell’uomo ch’esso aveva inavvedutamente ucciso gli sta da furia minacciosa sugli occhi2; ei fugge uno spettro, abborre in sé un omicida, grida spesso d’avere insanguinata la terra, si desta guardando intorno, come si vedesse sul capo il carnefice. Cosíla sciagura dell’amore disperato gli aduna de’ neri fantasmi, affinché, come Werther, lo sospingano nel sepolcro; e il lettore lo vede in procinto di precipitarsi: «Io traversava il Po e rimirava le immense sue acque, e piú volte io fui per profondarmi e perdermi per sempre. Tutto è un punto... Non finirò cosí da codardo... Quando avrò coraggio di mirare la morte in faccia e ragionare pacatamente con lei..., allora...». E, mentre ei proferiva queste parole, si risentiva nel cuore rivivere una religiosa pietá per sua madre, e una lontana speranza di rasciugare un giorno le lagrime di Teresa3. Cosí l’innato amor della vita, sostenendo quell’uomo col sentimento ch’egli aveva del proprio coraggio, e confortandolo co’ sensi di pietá e di rimorso per le persone che lo avrebbero pianto inconsolabilmente, lo preservò per allora dall’assalto della disperazione. Da quel giorno al giorno ch’ei decretò di morire si frapposero piú di sette mesi; e la disperazione assume sintomi di malattia piú lenta e insanabile. Le lettere dell’Ortis vanno di

  1. Lettera 25 maggio [ma un passo che è solo nelle varianti di Z e L, a p. 76 di questo vol. ii].
  2. [i, 328 l’ultimo frammento, e le var. rispettive, ii, 84].
  3. Lettera di Ferrara, 20 luglio [i, 326, e la var. a p. 84 di questo ii vol.].