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nere umano. L’uno e l’altro autore mostrasi d’avere cavato il «vero reale» dalla specie; e in ciò il secondo autore ha pigliato l’arte dal primo. Bensí quanto alle «varietá», sia caso, sia attenta osservazione fatta sopra i due individui dipinti1, sia vigore di genio diverso, la parte ideale è tutta propria di ciascheduno, come pure il metodo con che in questa parte l’uno ha proceduto differentemente dall’altro. L’amore nel Werther, anziché ristoro ricercato ne’ guai, si insinua nell’anima sua, allettata dalla beatitudine e dalle allegre speranze, che ingannano amabilmente la fantasia della gioventú. E, bench’ei sia quasi dell’etá stessa dell’Ortis, né la troppa esperienza della societá né il troppo fervore di mente l’avevano ancora levato da quello stato felice, in cui l’Ortis diceva d’essersi trovato nella sua prima gioventú, quando «avrebbe voluto poter versare de’ fiori su le teste di tutti i viventi»2. Il carattere sdegnoso, che a poco a poco assume il giovine Werther, deriva, senza ch’ei se ne avvegga, dalla irritazione che gli dava una passione dolcissima e occulta, e ch’ei non potea soddisfare. Onde le sue riflessioni non assumono che a poco a poco delle tinte di misantropia, e non gli escono di bocca se non suo malgrado e ne’ momenti che il suo cuore è piú esacerbato; e per lo piú la sua collera non s’arresta che sugl’individui. Nell’Ortis invece partono, quasi fossero sistematiche, dalla mente, e si estendono a tutto il genere umano. E, mentre il primo, come innocente che si quereli della ingiustizia, ci chiama ad intenerirci; l’altro, come nunzio funesto del destino, che ravvolge noi tutti negli stessi errori e nelle stesse miserie, ci riempie del suo terrore e della sua collera, e talvolta della sua sconsolata disperazione. Non sí tosto l’Ortis vede Odoardo, lo guarda con tal freddezza da lasciar traspirare il disprezzo: pur tenta ne’primi giorni d’avvicinarsegli3; ma l’anima intollerante s’arretra adirata dall’anima che non le somiglia; e quel primo disprezzo verso Odoardo si conserva nell’Ortis sino all’estremo, senza menomarsi, né crescere, né alterarsi in guisa veruna; e, quantunque l’altro abbia i diritti di sposo promesso, l’Ortis assume la

  1. Assai lume su la questione avrebbe diffuso la Vita che il signor Goethe ha scritto di sé. Ma, quando usciva da Tubinga in quest’anno 1814, gli articoli precedenti e parte di questo erano giá spediti al libraio. Ne parleremo nel seguente paragrafo, e per avventura in occasione piú opportuna.
  2. Lettera 17 aprile [i, 295].
  3. Lettera 22 novembre [i, 269].