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delle ultime lettere di iacopo ortis 127


intenso desiderio protratto»: da che, alla stretta de’ conti, il «desiderio» è il principio ed il termine di tutte le nostre agitazioni. Ma, comunque si definisca il vocabolo, certo è che quanto la passione è piú intensa, tanto piú produce dolore, e che alcuni individui sono per indole costretti assai piú degli altri a cosí fatto stato di vita. E, quando ei vi si trovano, non s’ha da credere che quel solo desiderio che gli agita, benché predomini su la loro anima, la occupi tutta quanta. Anzi, perché la tiene in perturbazione continua, la rende piú mobile agli urti che gli altri desidèri le hanno dato e le danno; e fra questi è perpetuo il desiderio di fuggire appunto dalla passione predominante, la quale talvolta scuote l’anima in guisa da forzarla a cercare perturbazioni, se non men forti, almeno diverse, sí che possa alquanto sviarsi dal suo consueto dolore. Che se a un desiderio violento non ne sottentrasse alcun altro a esercitare le forze giá provocate ad abituale inquietudine, il furore maniaco o l’insanabile consunzione o il suicidio sarebbero inevitabili. Però l’Ortis, fatto, per la troppa interna inquietudine, inetto ad ogni riposata attivitá di mente e in istato di vita sfaccendata e solitaria, cerca qua e lá occupazioni nelle persone e negli oggetti che incontra, e talvolta li esamina e ne discorre; ma, riducendo le varie sue riflessioni a’ minimi termini, trova in tutte la disperazione ch’ei voleva fuggire. Poche sono le lettere dalle quali (per quanto le materie siano talvolta indifferenti e anche liete) il lettore non sia avvertito della desolazione di chi le scrivenota. Spesso l’Ortis, nella magnificenza della natura, nello spettacolo sublime de’ cieli, nel mondo rallegrato dall’alba, nel riposo cercato da tutti i mortali al tramontare del sole, nell’amenitá delle valli, nella pace solenne della notte e ne’ quadri campestri, che per lo piú sono l’unica sua compagnia, cerca de’ sentimenti che lo riconsolino, e ne ritrova; e descrive con espansione

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  1. Veggansi fin dal principio del libro le conclusioni delle lettere: 18 ottobre [ii, 257]; 24 ottobre [i, 258]: 26 ottobre [i, 259], e della lettera 12 novembre [i, 251-2], dove ei parla d’un’allegra festa di contadini. Ma, piú che altra, veggasi la lettera 17 aprile [i, 291-6] e le varianti relative [ii, 71]. L’Ortis ringrazia la Natura de’ benefici che essa ha diffuso sopra la terra, e incolpa gli uomini d’essersi reciprocamente spogliati di que’ benefici, per dividere la societá in ricchi tiranni e in poveri servi, «contra il decreto della madre benefica ed imparziale verso tutti i suoi figli»; e, senza verun ragionamento intermedio, prorompe: «La Natura? ma se ne ha fatti quali pur siamo, non è forse matrigna?». Questa esclamazione fu, come molti altri passi, ommessa in alcune edizioni; forse per timore di corollari pericolosi.