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viii - istruzioni politico-morali 55


CAPITOLO TERZO

I

Nicolò Macchiavelli, meditando sulla prima rivoluzione di Roma, quando passò dalla monarchia alla libertá e al consolato, paragona i tempi de’ due Bruti, osservando che il primo Bruto fondò la repubblica malgrado i sforzi dei re, perché il popolo romano era costumato, ma che il secondo Bruto, ad onta ch’egli abbia spento il tiranno, non potè preservarla, poiché il popolo era divenuto vizioso. Passa dunque dalla schiavitú alla libertá una nazione leale, coraggiosa e costumata; ma una nazione insolente, vile, viziosa, malgrado la sua costituzione, le sue leggi, il suo erario, i suoi trionfi, e malgrado i sforzi de’ pochi magnanimi (perché in un mare di vizi galleggia sempre qualche somma virtú), conviene che irreparabilmente ruini. Atene, Roma, Firenze, Venezia ne fanno dolorosissima fede. Esaminiamo noi stessi e le nostre istituzioni morali, e vedremo quanti passi siamo lontani dal precipizio.

Vedete voi quella repubblica, ove i cittadini s’ammolliscono nelle delizie o nell’ozio, ove i principali della nazione disprezzano il travaglio e l’economia, ove le arti non sono onorate, ov’è spenta la bonafede, ove si negligono le proprie manifatture, ove la fede pubblica manca ogni giorno, ove gl’individui cercano di sbramare la propria avarizia sui fondi della nazione, ove i scellerati mercanteggiano la legislazione e la monopolizzano a loro vantaggio, ove del pari il governo non limita le proprie spese, ma aggrava i cittadini di nuove imposte, ove s’introduce il lusso, e il lusso distrugge poco a poco il commercio attivo della nazione, mentre ne accresce insensibilmente il passivo. E, per scendere al particolare, il marito vende la moglie e l’onore, il giuoco assorbe le derrate delle famiglie, s’aumentano i scioperati e i colpevoli, perché trovano esca all’ozio e il premio al