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ultime lettere di jacopo ortis 323


impegnata la sua fede, e per mantenerla era giunto a dividersi da una moglie a lui cara. Né i suoi affari domestici gli concedevano di accasare Teresa con una gran dote, necessaria alle mediocri sostanze dell’Ortis. Il signore T*** mi scrisse queste cose, e le disse a Iacopo, che le ascoltò pazientemente; ma, quando si udí parlare della dote: — No! — lo interruppe — esule, povero, oscuro a tutto il mondo, mi vorrei sotterrar vivo anziché domandarvi vostra figlia in isposa. Sono sfortunato, ma non vile: io non riconoscerò mai la mia fortuna dalla dote di mia moglie. Vostra figlia è ricca e promessa. — Dunque?— rispose il signore T***. — Iacopo non fiatò; ma rivolse gli occhi al cielo, e dopo molta ora: — O Teresa — esclamò, — sei pure infelice! — O amico mio — gli soggiunse allora amorevolmente il signore T***, — chi la fece infelice, chi, se non voi? Ella per amor mio s’era rassegnata al suo destino, e sola poteva rappacificare una volta i suoi poveri genitori. Vi ha amato; e da quel tempo voi, che pure l’amate con tanta delicatezza, voi stesso rapite a lei uno sposo, e turbate la pace di una famiglia che vi ha sempre guardato qual proprio figliuolo. Arrendetevi; allontanatevi per qualche tempo. Voi forse avreste temuto in me un padre severo: ma purtroppo sono stato anch’io sventurato; ho sentite le passioni e ho imparato a compatirle. Or voi abbiate pietá e di me, e della vostra gioventú, e della fama di Teresa. La sua beltá e la sua salute vanno languendo; la sua anima geme nel dolore, e per voi solo, per voi. Io vi scongiuro in nome di Teresa, partite, sacrificate la vostra passione alla sua felicità; e non vogliate ch’io sia l’amico insieme e il marito, e non fate di me il padre piú misero che sia mai nato. — Iacopo parea intenerito, ma non rispose. Il suo male aggravava, e ne’ di seguenti fu preso da una febbre ardentissima.

Frattanto io, sgomentato e dalle ultime lettere di Iacopo, e da quelle del padre di Teresa, tentava tutte le vie per accelerare la partenza del mio povero amico, solo rimedio alla sua disperata passione. Né ebbi cuore di parlarne a sua madre, che conosceva l’indole di lui capace d’eccessi; e le dissi soltanto ch’egli era un po’ malato e che il cangiamento d’aria gli gioverebbe.

In quel tempo stesso incominciavano a inferocire a Venezia le persecuzioni. Non v’erano leggi, ma tribunali onnipotenti: non accusatori, non difensori; bensí spie di pensieri, delitti ignoti, pene súbite, inappellabili. I piú sospetti gemevano in carcere; gli altri, benché d’antica ed onesta fama, erano tratti di notte dalle