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ultime lettere di jacopo ortis 297


scrivo finalmente, straccio, cancello, e perdo qualche volta una intera giornata; la mente si stanca, le dita abbandonano la penna, e mi avveggo d’avere gittato il tempo e la fatica. La pazza figura ch’io fo quand’ella siede lavorando ed io leggo! M’interrompo a ogni tratto, ed ella: — Proseguite! — Torno a leggere: dopo due carte la mia pronunzia diventa piú rapida, e termina borbottando in cadenza. Teresa s’affanna: — Leggete un po’ meglio. — Io continuo; ma gli occhi miei, non so come, si sviano insensibilmente dal libro e si trovano frattanto immobili su quell’angelico viso. Divento muto; cade il libro e si chiude: perdo il segno, né so piú ritrovarlo: Ma pure... potessi afferrare tutti i pensieri che mi passano per la mente! Ne vo tratto tratto segnando su’ cartoni e su’ margini del mio Plutarco. Ho incominciata la storia di Lauretta, per mostrare al mondo in quella sfortunata lo specchio della «fatale» infelicitá de’ mortali. Ma credi tu che le sentenze e i consigli e gli esempi de’ danni altrui giovino ad altro fuorché a irritare le nostre passioni? Inoltre, in cambio di narrare di Lauretta, ho parlato di me. Tale è lo stato dell’anima mia: torna sempre a tastare le proprie piaghe. Però non mi pare di lasciar leggere questi tre o quattro fogli a Teresa: le farei piú male che bene. E per ora lascio anche stare di scrivere. Tu leggili. Addio.