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vi - orazione a bonaparte 241


figli d’Italia, spegnete omai le ire che, di principi della terra, vituperosi e smembrati tributari vi han fatto delle vostre province. Per la comune patria è da combattere contro a’ barbari: a che dunque struggete le vostre forze contro voi stessi? E, quando il genio nostro maligno, e gli umani sdegni, e la divina necessitá ci tirassero a pugnar fra di noi, combattasi fino alla vittoria, e riserbisi contro a’ barbari il combattere fino alla morte. Inveterate, purtroppo, sono le nostre inimicizie! ma che prò il vendicarle? Risorgeranno forse dalle nuove sciagure que’ tanti nostri concittadini morti negli esili, nelle carceri e nelle civili battaglie? Riparerete le stragi con le stragi? Racquisterete l’onore, la libertá e la possanza con quelle forsennate arti, per le quali li avete perduti? E per chi? Non avete giá voi finor combattuto né per gli altari, né per li figli, né per lé madri, né per le spose, né per le vostre sacre dimore; non avete voi giá combattuto né per le vostre opinioni, né per la vostra gloria, né per le vostre stesse passioni: bensí per fare de’ vostri cadaveri fondamento al trono degli stranieri. Oh! dalle mani italiane gronda ancora sangue italiano! e griderá eternamente vendetta, e griderá la vostra infamia eternamente, fino a che non vi siate lavati nel sangue de’ vostri tiranni. Non ch’io piú i Cesari accusi, o i romani pontefici, o tutti gli altri monarchi europei, che ne’ caduti secoli le fiamme fra noi della discordia attizzavano, per accorrere quindi ad estinguerle e pagarsi del proprio beneficio con la nostra schiavitú: ma piango e fremo, vedove e serve mirando le belle cittá dov’io nudrito fui sí dolcemente; dove, benché nato non libero, appresi liberi sensi; dove tante imprese suonano ancora di eroi; dove sorgono tanti sepolcri di altissimi personaggi: e piango e fremo, debellata veggendo dalle proprie sue armi e prostrata nel fango questa regina dell’universo.

E fu il nostro destino sí atroce, che la religione cristiana, speranza per noi di mansueti costumi e di comune concordia, ribellatasi dal suo istitutore, pose regal sede in Italia, donde ora, al dir del poeta, «puttaneggiando co’ regi», or popoli e regi soverchiando, veleni spargeva e indulgenze e roghi e maledizioni