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lettere lviii-lix 173


Nulla di piú melanconico e maestoso. Qua molti gruppi d’arbori nereggianti ed incolti; lá pochi tronchi e cespugli sparsi nei sabbiosi massi d’un monte; odo da presso il fragoroso mormorio d’una cascata di acque, e ne veggo i lievi spruzzi e le spume biancheggianti; e giá sovra il mio capo vanno ondeggiando le addensate nubi, che lente si posano in una vasta immobilitá. Esce il buon vecchio pastore, appoggiato al suo nodoso bastone, la di cui bianca chioma splende a un qualche raggio furtivo, che traluce dai nembi; e osserva timido e attentamente l’annuvolato azzurro de’cieli. Ed io? Guardo appena, e ricado in una certa fiacchezza ed una stupida noia. L’immaginazione è spenta, gli occhi sono oscurati, il cuore non mi parla: tutta la natura è in uno spaventevole silenzio per me. Non piango, non mi affanno, ma sempre ho il cervello concentrato profondamente in un’idea... O Lorenzo! ella mi persegue per tutto, in ogni arbore, in ogni sterpo, in ogni fronda...; ed io, io non concepisco che lei sola.

LETTERA LVIII

23 giugno.

E sempre la veggo! I suoi baci mi avvampano ancora le labbra, grondano le sue lagrime sopra il mio volto, palpita agitato il suo seno contro del mio; ella è qui... stretta... fra le mie braccia. O Teresa! io tocco, stringo... che?... Insensato! un orribile vuoto, un fantasma, il vento che stride fra le mie chiome e passa.

LETTERA LIX

25 giugno.

— Perché parlar sempre di morte? — Si, o Lorenzo, sempre; e m’è forza il pascermi di questo dolce pensiero. Chi oserá di rapirmi l’unico e lieve conforto agli atroci miei mali? Invano l’uomo pacifico e di sangue freddo procura d’inspirare coraggio all’infelice! Tu, sano e robusto, sapresti far passare un solo filo di tua salute ad un moribondo arso da maligna febbre, in braccio di mortale agonia? E tale è il tuo dolce amico.

Il mio favorito passeggio è sovente sopra un selvaggio colle vicino, circondato da dieci lugubri cipressi: questo è l’altare in