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166 ii - vera storia di due amanti infelici


nebbia. Non mi contenni dal pronunziar con tutta energia alcuni versi divini del celtico Omero:

          E sola e lenta si movea quell’ombra:
     faccia avev’ella pallida qual nebbia,
     guancia fosca di lagrime: piú volte
     trasse l’azzurra man fuor dalle vesti,
     vesti ordite di nubi, e la distese
     accennando a Fingallo, e volse altrove
     i taciturni sguardi. — E perché piangi,
     figlia di Starno? — domandò Fingallo
     con un sospiro: — a che pallida e muta,
     bell’ospite dei nembi? — Ella ad un tratto
     sparve col vento e lo lasciò pensoso1.

E poi, sommessamente lagrimando, soggiungea:

          Ti rivedrò... Di cava nube in seno
     le nostre fredde e paliid’ombre in breve
     s’incontreranno, o figli, e andrem volando,
     spirti indivisi, a ragionar sul Cona!2.

Chi sa? Le nostre anime, o Teresa, un giorno forse passeggeranno dolcemente assieme le orbite celesti. Oh, come, al nostro incontrarsi, s’abbracceremo con gioia, e quali cose, quai dolci cose ci diremo al folgorante rotear de’ pianeti ed alla soave armonia degli astri!

Ma che mania è mai questa, o Lorenzo, che sempre m’agita e mi stravolge lo spirito? Ben tosto mi prese veemente desio di gittarmi ed immergermi tutto fra quella nebbia. — E che tardo — diceva — a depor lá, tutto lá dentro, l’orrendo peso che mi opprime?... — Il domestico entrò nella stanza, e, vedendomi molto acceso nella faccia, mi pregò ad avermi caritá e tornarmene in letto. Rivolsi un ultimo sguardo fuor del balcone; ed ecco giá giá diradarsi alquanto la folta nebbia, e pallido trasparirvi l’astro del giorno. Allargai le braccia, e, salutandolo riverente, esclamai: — Tu ben ti mostri alla dolente natura, e la consoli, e riscaldi...; ma la mia Teresa... spari! — Mi buttai boccone sul letto, e un pietoso sonno m’addormentò.

  1. Ossian.
  2. Ossian.