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162 | ii - vera storia di due amanti infelici |
— E che vi disse, buon uomo, consegnando questa lettera? — Frattanto io la scorreva con occhio rapido e ansioso, provando una terribile interna guerra di affetti.
— Nulla.
— Nulla?... E non vi disse alcuna cosa per me?
— Che volete mai che dicesse, se la poverina piangea, e piangea davvero, sapete! — Che ferita, o Lorenzo, fu questa al mio cuore agitato!
— Sventurata Teresa!
— Davvero che fa pietá! Appena m’ebbe vietato che non prendessi risposta; anzi, di piú (me lo ricordo adesso), che non parlassi né meno con voi, che i sospiri e le lagrime le interruppero il discorso. Che le avete mai fatto? Cosí buona e cara padrona! E la madre, è l’angelo del nostro villaggio. —
Io non rattenni le lagrime: — Lo so, buon uomo, lo so!... Ah! datele almeno un addio, che il cielo vi benedica!
— Un addio, poi...! Lo farò, signore. Iddio vi conservi...
— Anche voi. Addio. —
Egli, dopo un saluto, partí.
Ti dirò forse tutti i movimenti del mio cuore nel leggere l’adorata sua lettera? Quanto la sua dolce sensibilitá è toccante! come vi traspare l’amore e la pietá, mista allo sdegno ed alla tristezza! Il cuore di Teresa è tutto dipinto nelle sue commoventi parole; ed io le ho turbato il riposo e la pace?... Iacopo infelice! che piú ti resta?...
Amico, leggi: io trascrivo i suoi cari e terribili sentimenti. Conosci alfine l’anima di quella sovrumana beltá!
Lettera di Teresa a Iacopo.
Primo giugno.
Giovane sventurato, va’! Porta lungi, e per sempre, il rimorso d’aver potuto un momento solo obbliare la tua virtú! Teco porta il vanto crudele d’aver veduto le mie lagrime, e trionfato d’un cuore tenero... sensibile..., e che non era piú mio! Che un resto di pietá ti muova! Fuggi, rinunzia per sempre al feroce piacere di contemplare il mio pianto ed i miei rimorsi. Rispetta, o amico (genuflessa ti prego!), rispetta i giorni, la pace, i doveri d’una sposa, che non doveva giammai vederti, ascoltarti, intenerirsi... —