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angelo s. al lettore | 151 |
Dopo alcun poco rinvenne da quella terríbil situazione. Seco prese l’amata lettera ed anche l’arpa, e andò nel giardino.
Qui si giacque a piè del frondoso ciriegio, ove sovente adagiò il bel fianco vicino al giovane amico. I vaghi cardellini, che vi tenevan lor nido, saltellavano fra le mosse frondi dai zeffiri del mattino, soavemente salutando la rosata aurora e ’l fiammeggiante astro del giorno. Essa, malinconica e mesta, suonando cantò:
Aura soave e querula,
perché t’aggiri e mormori?
m’inviti a sospirar?
Aura, non piú!... di pianto
pasco il mio core intanto...;
ma che potrò sperar?
Doman verrò? — dove, o pastor gentile,
ove — dirò — sei tu?...—
Un venticello allor basso ed umile
risponderá: — Giá fu!... —
Domani, io non son più!... Povera Nice!
d’aft’anno, oh Dio! morrá.
E invan mi chiamerá l’aura felice,
ma non mi troverá!...
Solo del mio pastor l’ombra pietosa
verrá gemendo ove il mio cor riposa!
Iacopo frattanto era giunto presso il giardino: il flebile arpeggiar di Teresa, il mesto e dilicato suo canto gli passò di slancio nel cuore. Si arresta, quasi sorridendo, ad un tratto; tende ansante le orecchie e le braccia in atto d’ascoltarla e di vederla; van tremolando le sue ciglia umide d’alcune stille di gioioso pianto: poi ricade in un mortale languore, basso basso ripetendo: — Ma non mi troverá! — Il canto cominciava un poco a illanguidirsi; il suono era spesso interrotto; la voce fievole, sottile pareva l’ultimo sospiro d’un venticello, che abbandona i cespi delle rose; alfine piú non s’udì. Iacopo s’accostò al giardino, che, rimanendo alquanto diviso dalla casa, concedeva libero l’accesso ad ogniuno.
Egli entra e muove pian piano il dubbio piede per que’ viali odorosi. I zeffiri del mattino, che voleggiavan lascivi fra le tremule erbette e le ascose viole, passavano talvolta leggermente scherzando tra il velo e il bianco seno di Teresa. Sdraiata su le verdi zolle all’ombra del favorito ciriegio, la sua testa posava sul pedale