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lettera xlii 135


oscuritá..; tutto tutto mi gridava: — Infelice! t’illudi. —Spaventato e languente, mi sono buttato boccone sul letto, abbracciando il guanciale e cercando di tormentarmi nuovamente e d’illudermi.

Se tu mi vedessi! Stanco, pallido, taciturno errar su e giú per i colli e cercar di Teresa, e temer di trovarla; sovente brontolar fra me stesso, chiamare, pregarla, e rispondere alle mie voci: arso dal sole, mi caccio sotto una macchia e m’addormento o vaneggio. Ahi! che sovente la saluto come se la vedessi, e mi pare di stringerle e di baciarle piú volte la mano... Poi tutto svanisce, ed io tengo gli occhi inchiodati sui precipizi di qualche dirupo. Sì! conviene ch’io la finisca.

LETTERA XLII

19 maggio, a sera.

Fuggir dunque, fuggire; ma dove? Da vero che mi sento malato: appena reggo questo misero corpo per potermelo strascinare sino alla villa, e confortarmi in quegli occhi neri, e bere un altro sorso di vita, forse ultimo! Ma senza di ciò il mio male peggiorerebbe d’assai.

Oggi l’ho salutata per andarmene a pranzo; sono partito, ma non poteva scostarmi dal suo giardino; e... lo credi? la sua vista mi dá soggezione. Vedendola poi scendere con sua figlia, ho tentato di tirarmi sotto una pergola e fuggirmene. La Giovannina ha gridato: — Viscere mie, viscere mie, non ci avete vedute? — Percosso quasi da un fulmine, mi sono precipitato sopra un sedile: la ragazza mi s’è gettata adosso, baciandomi e dicendomi sommessamente: — Perché piangete? — Non so se Teresa m’abbia guardato: s’è rivolta a passeggiare per l’opposto viale. Dopo mezz’ora è tornata a chiamare la figlia, che stava ammucchiando erbe a’ miei piedi: sorridendo quasi, lodava i piselli ch’io aveva piantato; ma le sue pupille erano rosse di pianto.