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CAPITOLO QUINTO


1
O donna mia, c’hai gli occhi, c’hai l’orecchie
quelli di pipastrel, queste di bracco,
non vedi come amor per te m’invecchie,
tal che Saturno fatto son di Bacco?
Non mi guardar ch’aggia le scarpe vecchie,
no ’l boccalone, la schiavina, il sacco;
ch’io son tale però qual non fu’ mai,
e, se tu ’l provi, forse piangerai.
2
Ché s’una fiata mi concedi un baso
in quella guancia, qual persutto, rossa,
ed anco ch’un sol tratto i’ ficca ’l naso
in cul non dico giá, ma in quella fossa
di tue mammelle sin al bosco raso,
ubi Platonis requiescunt ossa,
forse piú con le schiene che col fiato
il mio sonar di piva ti fia grato.
3
Tornata era a la stanza giá Frosina,
ove Milon avea rotta la porta
di sua madonna e fatta tal ruina,
che di mai racconciarla si conforta.
Sopra un forciero il letto suo destina,
e tutta notte di vegghiar supporta,
mentre gli amanti giocano a le braccia,
dicendo col suo cuor: — Bon pro gli faccia! —