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82 orlandino


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Santificato dunque, e non fatato,
fu Orlando ne le viscere materne,
ché esser non puote da ferro impiagato,
come ordinoro in lui le menti eterne;
quantunque i’ poscia dal celeste fato
fatato nominarlo, ché l’inferne
fate non l’affatâr, ché d’affatare
forza non han, ma sol di affatturare.
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Tu mi dirai, lettor, ch’io son lombardo
e piú sboccato assai d’un bergamasco;
grosso nel proferir, nel scriver tardo,
però dal tosco facilmente i’ casco.
Io ti rispondo che se l’antiguardo
e retroguardo mio, che è ’l sacco e fiasco,
non fusse la fortezza di Durazzo,
forse sarei Petrarca e Gian Boccazzo.
70
Io qui non cerco fama, e men la fame;
quella mi fugge, e questa mi vien dietro,
anzi m’entra nel ventre e fa letame
duro cosí, ch’io canto un strano metro;
e se mai vien che presto alcun mi chiame,
quando quel sasso for del buco i’ spetro,
mi levo amaramente con la coda
smaltita in quattro giorni ferma e soda.
71
Non cerco fama no, ch’io n’ho pur troppo,
e tal mi crede questo, ch’io son quello.
Guardatevi dal sguerzo, gobbo e zoppo,
signori mei, che l’è di Dio rubello.
Benché ’l zoppo non corre, va galoppo,
in fin ch’intenda il nome mio novello;
ben maladico lui, che se ’l mi scopre,
da voi, signori mei, non mi ricopre.