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capitolo terzo | 63 |
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Spiacque tal caso a Carlo, spiacque al popolo,
ch’Amon si mostra esser d’un braccio inutile.
Quel pugno avria spezzato un sasso, un scopolo,
ma verso un traditor fu vano e futile.
Or sopra ciò non piú rime v’accopolo;
Amon è in terra, di giostrar poco utile;
fuvvi raccolto, e chiamasi ch’il medica;
concialo il mastro ed a le piume il dedica.
81
Milon giá piú non fa di l’olmo lanza,
ma ben da un capo il piglia con due mani:
or qui comincia la piú bella danza
che mai si vide ai ferraresi piani,
quando, la biscia entrata ne la stanza
di mille millia rane in que’ pantani,
chi su, chi giú, chi al lungo, chi al traverso,
fugge scampando con dirotto verso.
82
Non fu giammai bastone agevol tanto
in cacciar cani di cocina fora,
o castigar un ostinato, quanto
era quel di Milon, ch’in men d’un’ora
sgombrò tutto ’l steccato d’ogni canto,
non vi restando un sol soletto allora.
Pensate se Carlone e Berta gode,
e se Ginamo e Falsiron si rode.
83
Amor e forza il tenne in sella fermo,
qual scoglio in mar da l'onde combattuto!
Or per dar fine al mio gridar infermo,
allenta, o Musa, il canto del laguto,
ché da Grisoni non facendo schermo,
qui sonar d’arpa voglio in nostro aiuto;
e se ’l raggio del sol non m’è rubello,
spero di loro farne un gran macello.