Pagina:Folengo - Opere italiane, vol. 1, 1911 - BEIC 1820955.djvu/67


capitolo terzo 61


72
Gitta la lanza, e con un stran saluto
vòl salutarne mille, non che un matto.
Quando la turba lunge ebbel veduto
col codicil senza notar contratto,
ridea dicendo: — Quest’ è ben dovuto
che ’n miglior forma il scritto sia ritratto! —
Or Balugante lascia star Anione,
veduto ch’ebbe in lizza entrar Milone.
73
L’asta ch’accortamente avea servata
in piú opportuno tempo sin allora,
tosto ripiglia, ed in Milon dricciata,
spera il menchion di sella trarlo fora.
Milon che ’l vede, leva il ciglio e guata
prima colei che tanto l’innamora,
poi contra l’arroganzia che gli viene,
abbassa il legno con sue forze piene.
74
Tacque ciascuno e tien la bocca aperta
al smisurato incontro de’ duo tori.
Di Balugante fu la botta incerta,
perché la lanza affise troppo fori.
Ma ben Milone, che si tien a l’erta
per bel principio dei presenti onori,
diedeli un urto tale col stangone,
che mezzo il sotterrò nel sabbione.
75
Poi quella turba de li congiurati
rumpe col tronco in resta e li disperde.
In quattro colpi trenta scavalcati
l’un sopra l’altro andar distesi al verde.
L’altri confusamente rammeschiati,
chi l’elmo, chi ’l braccial, chi l’asta perde,
come sòl far il can mastino ch’apre
un qualche storno di barbute capre.