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60 | orlandino |
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Chiamasi accanto la sua camarera,
la quale, de le donne contra l’uso,
c’hanno la lingua in dir via piú leggiera
del deto a l’ago, a la conocchia, al fuso,
de’ suoi secreti consapevol era,
tenendo un buco aperto, l’altro chiuso.
— Dimme, Frosina mia, che parti d’ello?
fu mai né ’l piú gagliardo né ’l piú bello?
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A le sue forze, a la sua pulcritudine
ben mostra nato sia d’un Marte e Venere.
Oh s’egli sceglie ben l’amaritudine
de l’erbe e fior, c’ha in capo acerbe e tenere!
Verd’è l’amor, ma se vicissitudine
non ha, qual è dolor che piú s’ingenere
acerbo e piú mortal in ciascun’anima?
Qual fier destino piú un bel volto exanima? —
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Cosí, mentr’ella si rallegra e duole
e mescie il dolce insieme con l’amaro,
vien detto al gran Milone, che la prole
spagnarda e maganzesca scavalcaro
d’accordo i piú gagliardi, perché vole
Ginamo, tributando col dinaro
e quest’e quello capitan spagnolo,
restar in lizza vincitore solo.
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Milon prudente al volgo non risponde,
ma, vòlto il freno ad un vecchio palaccio,
entravi dentro e for di certe fronde
trasse un lungo truncone ch’al suo braccio
grosso, verde, nodoso corrisponde,
per mostrar che ’l diamante come un giaccio
potrebbesi spezzare con quel stecco,
contra ’l senso di Plinio, senza ’l becco.