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capitolo terzo 59


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Non tanta commentaria sopra ’l Sesto,
Decreti, Decretali e Pisanelle,
di Galafron la figlia, e tutto ’l resto
aedificarunt fratres e sorelle,
quanta facea Milone su quel testo
de le confuse erbette e rose belle;
né mai vi ha fine, come fa ’l scotista
contra l'utrum e probo del tomista.
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Finge chimere, sogni e fantasie,
quali non pose mai Merlin Cocaio,
lo qual di Cingar sotto le bugie
scrisse, che piú mai fece alcun notaio,
d’alcuni menchionazzi le pazzie,
che intendon rari, ed io son il primaio
che l’ho provate e forse ancora scritte
fra genti negre, macilenti, afflitte.
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Ma pervenuto giá dov’è ’l bagordo,
voltosse a lui ciascuno a grand’onore.
Lo pazzo volgo, di veder ingordo,
senza pensarvi su, vien a rumore;
a le cui voci e gridi fatt’è sordo
co’ circostanti l’alto imperatore.
Milon tocca ’l destrier, e quello in alto
ben vinti piedi spicca un doppio salto.
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Percosse ’l ciel un sono via mischiato
di varie voci, trombe, plausi e corni,
quand’egli fece il salto smisurato
e reverenzia ai biondi capei adorni
de le dongelle, ove, il suo dono grato
esser stato mirando, e come adorni
ben l’elmo del suo dolce amor Milone,
Berta sola si trasse ad un balcone.