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capitolo terzo 57


56
Tu pur hai milli esempi avanti gli occhi,
quanto mal vien dal sesso muliebre:
nulla di manco, in guisa de’ ranocchi,
siamo in tal fango sin a le palpebre,
né conoscemo l’arti e li fenocchi
ch’usano quelle in l’amorosa febre,
fin che proviamo, poi, che queste scroie
bastanti sono d’arder mille Troie.
57
O misero chi segue la lor traccia!
Ché in sé di ben non han for che le forme,
donde scolpita vien l’umana faccia,
quantunque in luogo putrido e deforme.
O misero chi darsi si procaccia
in preda ad una belva e mostro enorme,
cagione, da ch’è ’l mondo, d’ogni male,
crudele, invidiosa e bestiale! —
58
Mentre Rampallo tende a confortarlo,
ecco su viene un altro ambasciatore.
Narra la doglia ed ira de re Carlo,
che ’l spagnol esser debba vincitore.
Milon, udendo ciò, per aiutarlo
e riparar col suo l’altrui splendore,
non altro al cavalliero vi risponde,
corre a la stalla e tutto si confonde.
59
Salta in arzone tosto e l’asta piglia;
urta ’l corsier, galoppa e non dimora.
Berta, ch’attende, fassi maraviglia
ch’ornai non vien; perché l’amante un’ora
esser mill’anni giura, ed assottiglia
l’ingegno sí, che tienesi talora
veder quel che non vede, e poi, se ’l vede,
tant’è ’l piacer che ciò veder non crede.