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capitolo terzo | 55 |
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— Arcana cogit amor confiteri,
disse l’Omero nostro mantoano. —
E cosí allor Milone i soi pensieri
scoperse al fido sozio a man a mano;
ma ch’eran gli occhi d’ella tanto alteri,
che porvi speme giá cred’esser vano;
e pur, se non gli vien tal fiamma tolta,
omai dal corpo l’alma sua fia sciolta;
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né che sa imaginare modo e via,
onde speri sfocarsi il miser core.
Però lo non aver quel si desia,
e l’inusato ed inegual amore,
lo tòsco, lo velen di zelosia
giá ’l condurranno al simile furore,
che tolse a Filli, Piramo e Didone
la vita stessa, non che la ragione.
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Rampallo cotal detto fiso ascolta
ed ascoltando ruppe in largo pianto.
Trarlo di quella mente iniqua e stolta
con boni avvisi, giá non si dia vanto;
non mai verragli tanta pena tolta,
se non allontanandol da lei tanto,
che non la veda; e cosí a poco a poco
spera ritrarlo dal maligno foco.
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Dunque comincia il saggio ad invitarlo
se gire in Barbaria seco gli aggrada.
Ma non sí tosto mosse a confortarlo,
ecco improvviso al lungo di la strada
correndo viene il nunzio di re Carlo,
e dice che Milone senza bada
si trovi armato in piazza con la lanza
per rifrancar l’onor perso di Franza.