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capitolo terzo | 53 |
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Ma Balugante, c’ha lo fusto integro
percotelo nel fianco e ’n terra il getta;
molt’era il falso Falsiron allegro,
e por di sella Namo studia e affretta.
Amon che per stracchezza omai vien pegro
n’avea cinquanta intorno a grande stretta,
onde qui spiacque l’atto sí villano
a’ parigini, e via piú a Carlo Mano.
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Lo qual, volgendo l’occhio alto e soperbo,
chiede perché non vi è Milon d’Anglante.
Bovo ch’era vicino disse: — Io serbo
in altro tempo queste ingiurie tante,
senza rispetto per lo giusto verbo;
c’hanno confuso il gioco a te davante.
Or lodano pur te, ch’al tuo comando
non si trovammo al lato mazza o brando. —
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Mentre Bovo i spagnoli ancider vole
e Carlo provvedervi si dispone,
Rampallo giá di Berta a le parole
entrato era ’l palazzo di Milone.
Corre a la ciambra come correr sòle
l’amico a l’altro, e grida: — Ah vil poltrone!
che fai nel letto? — e mentre il sconcia e tira,
ode ch’acerbamente egli sospira.
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— Aimè! che veggo? e perché lagni tu?
Non odi tu, Milone? per la fé
che da fanciulli sempre tra noi fu,
chi ti move a dolerti? dillo a me.
Ahi, quanto duro questo parmi! e piú
che di prudenzia egual non hai di te!
Pur quel proverbio al saggio sol si fa:
«Tema di traboccar chiunque sta».