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Ch’io voglia dir su questo, ben contare
potrei, ma uscito m’è for di cervello:
tal atto spesso avviene in predicare
del libro arbitrio a qualche fraticello;
tu l’odi su le spalle a Dio montare
e cacciar per un ago il suo gambello,
ma uscita non ha poi né sa trovarla:
chi ascolta poco intende, e men chi parla.
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Torniamo dunque al testo, ché la torta
mi sente piú di stizzo che di lardo;
ma voglio qui pigliar la via piú corta
per non giunger Orlando troppo tardo.
Quivi Turpin la storia sua trasporta
in Africa, scrivendo del gagliardo
Almonte primo figlio d’Agolante,
d’animo, forza e di beltá prestante,
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le gran prove che fece e la soprana
virtú ch’ai mondo sparse per avere
d’Ettorre il nobil brando, Durindana,
e come mai noi puotte possedere,
fin che non descendesse ne la tana
d’un mago, Atlante, il quale con minere
di piú metalli e col suo Farfarello
fe’ in quattro mesi un incantato anello:
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quell’ incantato anello, cui la figlia
di Galafrone molto tempo dopo
ebbe con seco a grande maraviglia,
celandosi d’altrui quand’era duopo,
e ruppe ogni altro incanto, ché vermiglia
v’era una pietra dal sino etiopo.
Poi si ritorna il mio dottor, seguendo
di Berta dir, a cui mie rime i’ spendo.