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capitolo secondo | 41 |
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Elli, abbattuti piú da la vergogna,
fuggon for del steccato immantinente;
Carlo gli fa, per piú scherno e vergogna,
sbatter gli piedi e man drieto la gente.
Lo mulo del Danese, ch’in Bologna,
anzi a Parigi stato era studente,
ficca la testa in giú da valentuomo,
e col cul alto fecevi un bel tomo.
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Fecevi un tomo tale, che ’l Danese
una stretta da mulo ebbe a la panza;
Morando con Otton venne a le prese,
ed ambo di cascar stanno in balanza.
Ivon, ch’era sul carro, qui comprese
ch’a la vittoria poco tempo avanza:
caccia lo bove e tanto il driccia e punge,
ch’ove son abbracciati al fin si giunge;
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e qui con quella soga, ch’al gran trave
noda il bifolco e stringe paglie o feno,
acconcia un laccio, e poi ch’acconcio l’have
lor osservando va, né piú né meno
ch’altrui lusingha e move il piè soave,
s’un fuggito caval segue col freno;
fin ch’a l’orecchia o altrove dá di mano,
torna la briglia, e poi gli è duro e strano.
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Cosí Ivon mentre a fatica move
il carro, s’accostava a li baroni,
poi, visto il tratto, gitta il groppo, e dove
segnato avea, la corda su’ galloni
cadendo tira e quei legati smove,
traendoli sul carro da gli arzoni;
come talor si vede stanco e lasso
lo villanel tirar di legna un fasso.