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36 | orlandino |
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Fugge a la ciambra; e, come dá il costume
d’amanti, al letto buttasi con fretta;
ben si dimostra al guardo, al torbo lume,
ch’una man fredda al cor le dá gran stretta;
e se di pianto al fine un largo fiume
non v’irrompea, l’ardor de la saetta
l’arebbe incesa come far si sòle
d’un legno che cent’anni cocque il sole.
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Levasi al fine, e un paggio di dieci anni
chiama, ch’un cherubin non è piú bello;
tutt’era adorno in strafoggiati panni,
d’un capriolo piú leggiadro e snello;
chiedelo Berta, vòlta in grandi affanni,
e comanda dicendo: — Or va’, dongello,
va’ ratto ratto in piazza e, tra le squadre
cercando, fa’ che vegna a me tuo padre. —
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Non ti pensar che ’l fante le risponda,
anzi qual presto gatto giú descende.
Acciò chi sia ’l citello non s’asconda,
dirollo, poiché ’l senso qui vi pende:
quest’angioletto da la chioma bionda,
che ’n grembo a Vener qual Adone splende,
Ruggier da Risa nomasi, ch’è figlio
del pro’ Rampallo, bianco quant’un giglio.
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Qual giglio, qual ligustro è ’l suo candore,
co gli occhi negri ed ha capo romano,
di sguardo lieto, d’animoso core,
di ben quadrato petto, gamba e mano.
Taccio la sua destrezza, il suo valore;
grato a ciascun, piú grato a Carlo Mano,
che da Rampai suo padre il volse in dono
e quel ornò del brando e d’aureo sprono.