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selva terza 373


Tra gli diversi lor nemici e morbi
come vespe, crabroni e rondinelle,
ragni, lacerte, acqua de stagni torbi,
puzzo de cancri, culici, mustelle,
par che la rana piú le affanni e storbi;
perch’ella contra i brandi lor ha pelle
non men sicura e di maggior fiduccia,
del ferro al colpo, d’una fral cannuccia.

Ecco mirabil vermo, che disopre
li altri animali (non pur dico insetti,
ma quanti piuma, squame e lana copre)
esser fatto mirai per santi effetti,
tra’ quai conobbi le lodevol opre
di cera, dentro ai cristiani tetti,
ove non ben di notte Dio si cole,
se máncavi di cere acceso il sole.

D’altri animali, dicovi seguendo,
tenni le cause d’infallibil prova;
ma quante rimembrar in me contendo
e porle inanzi a voi, nulla mi giova.
Cosí volse il mio fallo che, s’io spendo,
per risaper ciò ch’in natura cova,
il tempo invan, ne pianga giustamente
e faccia come quel che tardo pente!

Di poggio in piano, di campagna in selva,
giravami qual spirto che di gioia
pascendosi lá su per l’ampio ciel va,
né mai cosa v’incontra che lo annoia.
Qual orso, qual leon, qual altra belva
restò venirmi (non che desse noia)
scherzar intorno, e dentro le lor sanne
prendermi leggermente ambo le spanne?