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370 caos del triperuno


Ma s’io non voglio che ’l mio popol n’esca
di sue contrade per migrar altrove,
un’ala tronco al capo de la tresca,
la qual non senza lui mai fuga move.
S’ei langue infermo, dangli bere ed esca; [«Inexpugnabile munimentum est amor civium: quid pulchrius quam vivere optantibus cunctis?». Sen.]
chi ’l porta, chi ’l sostien, chi ’n grembo il fove;
s’anche smarrito errando va per caso,
vien cònto, qual patron da’ cani, a naso.

E se di qua di lá trovar nol sanno,
allora per consiglio si delibra
condurse ad altro duca, e for sen vanno
a la cittade altrui, né alcun si vibra
de’ cittadini contra e fa lor danno,
anzi nel tetto si compensa e libra
di quanta plebe sia capace; dopo
né piú né men li accettan che li è uopo.

Tal volta ch’egli morto caschi occorre:
pensi chi ama il suo rege qual supplizio!
Di tutte bande al corpo si concorre,
gittato a terra l’util esercizio;
con lagrime non san elle giá sporre
lor gran cordoglio al funeral uffizio;
dirò ben veramente aver udito
strepito d’ale con vocal ruggito.

Se d’ordinato e regolar costume
giammai l’uso mortal restasse privo,
puoterlo aver da l'api si presume,
né l’uomo forse l’averebbe a schivo;
ché, stando elle di notte ne’ lor piume
sí il stato per servar sí il rege vivo, [«Nunquam oportet domum esse sine custode». Arist.]
la vigil guarda sempre a l’uscio ascolta,
cascando a queste e quelle la sua volta.