Mille altre spezie de la picciol greggia
pospongo agevolmente or in disparte.
Segue ch’io solamente l’ampia reggia
de l’ape contemplando chiuda in carte;
ché ’l magistrato lor forse pareggia,
se non in tutto, il nostro almen in parte,
sí come quelle c’han statuti e legge,
né manca il duca lor che le corregge.
Anzi de la piú parte da’ suffraggi
lo eletto imperator sostien la verga;
satelliti, littori, servi e paggi
vannogli sempre appresso ovunque perga.
Esso le pene simili a li oltraggi
librando va: però non è chi s’erga
soperbamente contra lui, ché amando [«Qui vult amari, languida regnet manu». Sen.]
temesi un rege piú che minacciando.
Non come l’altre l’umido mucrone
(armollo assai sua maiestade) cura.
Mentre la plebe strenua compone
senza Vetruvio tanta architettura,
egli sta sopra e lor case dispone,
servando (ove convien) modo e misura.
Non esce mai di corte se non quando
del popol manda una gran parte in bando.
E se a tardarla fusse allor men tosta
qualche armonia di ferro o d’altro sòno,
l’impulsa torma irebbe assai discosta.
Cosí dal rege suo guidate sono:
però Natura vòl che senza sosta
lor di concento arresti qualche tono,
e ’nsieme le raguni a nova tomba,
in guisa de’ soldati al sòn di tromba.
T. Folengo, Opere italiane. |
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