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360 caos del triperuno


Anco d’augelli un’alta copia vidi
sciolti vagar per l’aere, ed altri tanti
su per le frondi e macchie tesser nidi
o rassettar col becco li aurei manti
(non è poggetto e riva, che non gridi
lor vari e ben proporzionati canti),
altri lasciare il volo e al nuoto darsi
e, in acque scesi, d’augei pesci farsi.

Stavami affiso, e nel mirar un dolce
pensier alto diletto m’apportava:
gran cosa il mondo, e piú chi ’l guida e molce
troppo mi parve allor, e ch’ei non grava
né l’un né l’altro polo che lo folce,
e ch’un sí magno artefice l’inchiava!
Né fu mirabil men, che de niente
pender lo vidi ad alto incontanente. [Subita rerum creatio. «Nemo quaerat ex quibus ista materiis tam magna tamque mirifica opera Deus fecerit. Omnia enim fecit ex nihilo». Lactant.]

Tra nulla e tutto ’l mondo alcun indugio,
quantunque pargoletto, in Dio non cape.
Or stracco di stupir non piú m’indugio:
ma, vòlto il passo ad un pratel che d’ape
tutto risona, dando a lor rifugio
sí l’aura dolce come i fior le dape,
mi si presenta ratto in bella gonna,
ch’esce d’un bosco, sola e grave donna.

Presta ne’ gesti, e di sguardo matura,
ma piú d’augello ne l’andar spedita,
ha vesta bianca, gialla e di verdura,
e ciò che ’ncontra tocca e dálle vita.
Che nulla a drieto lasciasi procura;
e sopraggiunta ov’era l’infinita
mandra de l’ape, tutte le raguna,
e fece lor non so che, ad un’ ad una.