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358 caos del triperuno


Luto non sei piú, no, ma novo Adamo
per cui ruppe oggi Dio la massa, e d’ella
novellamente noi per tuo ben scelse;
noi, dico, stelle, ch’anzi ti eravamo
co’ l’altre cose nulla o quel si appella
«Caos», donde ’l bel seclo Dio ti svelse.
Ma sovra le piú excelse [«Laetitia bonae conscientiae paradisus est, pollens affluentia gratiarum affluensque deliciis». Aug.]
corna de’ monti, onde ti porto il giorno,
piantato t’è un terrestre paradiso,
che di solaccio e riso
onestamente sendo sempre adorno,
Iesú spesso vi fa teco soggiorno.
Adora lui, se forse quanto sia,
(dandogli ’l cor sí come hai fatto), gusti.
Quel non son io, perché da te adorato
ne vegna, come al mondo errore fia
di Manicheo e soi sequaci ingiusti.
Cristo non son, perch’egli sempre a lato
del Padre sia chiamato
«sol di giustizia»; dond’ei dir si puote
Cristo esser sole, e ’l sol non esser Cristo.
Sol son io ’l sole, visto
d’occhio mortal; ma l’altro sol percuote
di cieco error chi vòl mirar sue rote. [Inscrutabile Dei numen.]
Ora piú non m’attempo,
ché senza me vedi ogni errante stella
(per trarne frutto, chi testé, chi a tempo),
volersi unir indarno a mia sorella,
che adultera s’appella [Luna omnium planetarum concubina.]
d’ogni pianeta, e pur senza noi dua
con puoco effetto va la vertú sua.